Va be', io sono proprio un riciclatore maniacale. A parte che in casa ho cinque contenitori: il vecchio secchio delle immondizie per l'indifferenziato, che ormai è ridotto agli sgoccioli; tre cartoni, di diversa grandezza via via più piccoli, per plastica metallo e carta; infine il cestello per l'organico, che per ragioni pratiche appoggio sul terrazzo. In realtà, raccolgo separatamente la plastica delle bottiglie in una busta a sua volta di plastica, e la plastica del petto di pollo affettato (che mi serve per la mia dieta di diabetico) nelle plastiche d'avanzo del cibo per i miei due fratellini felini.
A parte questo riciclo 'canonico', riciclo anche il vestiario – quando mi accorgo che ho smesso d'entrarci dentro, e il materiale informatico. Mi domando perché uno smartphone debba diventare 'vecchio' dopo soli tre anni, e quindi da buttare: perciò l'ho regalato alla vicina, che a sua volta l'ha dato al cucciolo di casa; ché così comincia a imparare come funziona. Stessa cosa per la stampante: quando ho comprata la nuova stampante fotografica, ho regalata la vecchia stampante alla stessa vicina.
Gl'italiani sono diventati ricchi solo ultimamente: fino a poco tempo fa, neanche un centinaio d'anni, eravamo poveri – d'una povertà sicuramente proba, forse dignitosa, ma pur sempre poveri. Enzo Biagi in "Testimone del tempo", 1970, rivelò: «Quando muore si accorgono che il cappotto nero che portava sempre era stato rivoltato». Parla non di un barbone, ma di Enrico De Nicola, primo Presidente della Repubblica. Poi ci fu Luigi Einaudi, che divideva una mela in due e domandava ai commensali chi gradisse l'altra metà. Mia madre apparteneva a quella generazione, e di quella generazione mi ha trasmessi i principî: mantenere l'austerità, evitare gli sprechi, fuggire la vanità delle mode. Riciclare è venuto quasi da sé. 🙂
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