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lunedì 24 settembre 2018

Sul dualismo istinto - ragionamento

Pubblicato qui: https://www.facebook.com/massimo.pranzetti.3/posts/1088971934603473?comment_id=1089361207897879&comment_tracking=%7B%22tn%22%3A%22R0%22%7D .

Carissimo Massimo, ti scrivo qui con qualche minuto di ritardo rispetto al tuo intervento iniziale. Spero che apprezzerai ugualmente.
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C'è uno specifico motivo per il quale le donne sono attratte da un certo modello di uomo, sfrontato, egoista, anche un po' aggressivo (e gli uomini dalle donne farfalline, sognatrici, anche un po' svampite).
La scimmia uomo, che all'epoca viveva nella savana, era a contatto con animali molto più grandi di lui: elefanti, ippopotami, rinoceronti quando andava bene, altrimenti leoni, iene, ma anche sciacalli, che curiosamente nessun animale considera perché piccolo di dimensioni - ma sono e rimangono carnivori, che magari si fermano ad abbattere piccole prede come giovani vitelli, piccoli mammiferi (manguste, topi, otocioni) e, ovviamente, i bambini in fase di allattamento. La morte era una compagna fedele della vita, che poteva comparire anche per futili motivi: una vipera sotto una roccia, l'acqua contaminata, un seme di frutto di traverso.
Contro queste avversità, l'arma più efficace a disposizione era, per quel che valeva, la forza fisica. L'unica possibilità di sopravvivenza e di riproduzione era per l'appunto un uomo che fosse al limite: poco aggressivo perché sarebbe stato impossibile vivere al fianco di un picchiatore, ma anche poco affettivo perché dinanzi a un pericolo come quelli descritti sarebbe stato facilmente sopraffatto.
Da quell'epoca sono passati diecimila anni: l'essere umano ha scoperte l'agricoltura, l'allevamento, le regole della riproduzione e così tante cose sono cambiate. Innanzi tutto, se all'epoca le due preoccupazioni principali erano trovare cibo ed evitare di diventare cibo per altri, con l'agricoltura e l'allevamento il cibo è stato, in un certo qual modo, assicurato. La libertà dall'impegno di trovare cibo ha permessa la fine del nomadismo e l'abbandono della capanna in favore dell'insediamento urbano e delle strutture di muratura.
Un'altra categoria di problemi, giunta per il tramite dell'allevamento, è invece insorta con la scoperta che gli uomini rendono le donne feconde - fino ad allora, la notevole distanza temporale che intercorre tra il concepimento e il parto aveva impedito di collegare i due eventi. Questa nuova visione ha sottratto alle donne l'aura di magia che le circondava, e le ha condannate a un ruolo subalterno, sottomesso, oserei scrivere di proprietà del maschio di turno, foss'egli il padre, il fratello, il marito. Tant'è che "matrimonio" significa rendere madre - cioè far figli, "patrimonio" significa rendere padre - cioè avere soldi.
Tutta questa messe di elucubrazioni, oltre a essere frutto di sillogismi del tutto campati in aria, ha creata una spaccatura clamorosa tra l'istinto e, in senso particolarmente largo, il ragionamento. In questo caso, l'istinto cerca l'uomo sfrontato, egoista, anche un po' aggressivo; ma quest'uomo, istintivo appunto, rifiuta poi le regole della convivenza civile, sicché è donnaiolo, fedifrago e decisamente poco incline a occuparsi della famiglia, che ricordo qui è anch'essa una struttura sociale.
Giunto alla fine di questo papiro: quale soluzione proporre? Nessuna, purtroppo. Se riuscissimo a cancellare l'idea del "figlio mio" (ch'è opposta a "mio figlio"), le donne e perché no? anche gli uomini potrebbero vivere la propria passione - che sappiamo tutti essere un fuoco di paglia, e successivamente il proprio sentimento - che invece sappiamo essere duraturo fino alla morte: ma chi mai si vorrebbe accompagnare con "quella zoccola", e il suo piccolo bastardo?
Ecco perché prima ho scritto «in senso particolarmente largo, il ragionamento»: tanto, troppo spesso vogliamo che il figlio sia mio, sia cioè emulo di me, viva la mia vita, faccia diventi sia ciò che io avrei voluto ma mi è stato impedito. Se solo ci fermassimo a pensare, il bambino odierno diventerà un uomo adulto, e com'è giusto che sia egli abbandonerà la propria condizione di figlio di mammà e papà per diventare un individuo indipendente. Quanti figli sono ignari della propria genealogia, e chiamano mamma e papà chi li ha amati, seguiti, formati.
Dovremmo smettere di aver paura della morte: di pensare, di vivere, di procreare in sua funzione - appunto, il "figlio mio"; dovremmo invece vivere la nostra vita, finch'è possibile, e accettare di morire perché così è la vita, e cercare di arrivare alla fine sazî della vita che abbiamo potuto vivere. Ma ti sfido di riuscire a farlo, amico mio.
Cordialmente.

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