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mercoledì 25 marzo 2015

Succede

Pubblicato qui: http://blog.pianetadonna.it/leggerezza/sapete-che-succede-quando-non-si-e-piu-abituati-ricevere-amore/#comment-4517.

Succede che ogni volta che senti anche solo parlare d’amore, quella vecchia crepa che si è formata tanto tempo fa nella tua anima, che tu speri sempre sia finalmente diventata dura come la roccia, si allunga di un altro, piccolissimo, impercettibile centimetro; impercettibile per gli altri, ma tu lo senti, senti un’altra puntura dentro come di una spina, senti un altro paio di ciottoli saltati dalla spaccatura che rotolano a valle, senti che la roccia è sempre meno in grado di sopportare altri colpi.
Succede che quando fai una telefonata, e disgraziatamente il tuo interlocutore esordisce parlando di progetti con il coniuge, con la famiglia, con i figli, rispondi con un sorriso, e certo, ti fa piacere, sei felice per lui, gli auguri in bocca al lupo; solo quando riattacchi la cornetta ti accorgi che gli occhî sono ormai completamente allagati dalle lacrime, e se disgraziatamente batti le palpebre avviene un’esondazione, e ti ritrovi con le guance rigate come se piangessi da mezz’ora – e in effetti è proprio così, solo che c’è voluto tempo per ammetterlo.
Succede che alcuni brani, alcuni testi, alcune musiche ti diventano impossibili da sentire; perché ti toccano dentro, chissà come e perché, magari un ricordo, forse un’allusione: e senti come una bomba di profondità nello stomaco, all’esterno è solo una vibrazione ma dentro è dolore, devastazione e distruzione. A me, strano a dirsi, succede con “Quelli erano i giorni”, un brano di Gigliola Cinquetti nientemeno che del 1968: «Vivevamo in una bolla d’aria – che volava sopra la città: / la gente ci segnava con il dito – dicendo: “Guarda la felicità!”»: niente da fare, mi fa male anche solo leggere le parole.
Succede che più il tempo passa, più pensi alla morte: sì, alla fine, quando la solitudine diventa misurabile in anni, si comincia a materializzare anche questo pensiero. Dovrebbe essere normale, a una certa età chiunque mette in conto l’eventualità che la propria esistenza giunga alla fine: ma un conto è se l’esistenza in questione è stata felice, fruttuosa, intensa anche dal punto di vista affettivo; un conto, al contrario, è se hai vissuto per tanti anni solo. Un’ombra nera, pesante, tetra e funesta, compare all’orizzonte: e con essa la domanda se valga ancora la pena continuare a camminare in questo deserto.

Aggiornamento: il sito dove scrissi questo pensiero è stato chiuso. La frase da cui presi spunto è di Francesco Roversi:
«Sapete che [cosa] succede quando non si è più abituati a ricevere amore? Succede che non ti fidi più, che preferisci stare solo.
«Succede che quando qualcuno ti dice "Ti voglio bene" rispondi con un sorriso e pensi "Come no". Succede questo, non sei amato per molto tempo e, quando trovi qualcuno che ti ama davvero, muori di paura».

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